Attenzione: Javascript è disabilitato nel browser che si sta usando. Potrebbe non essere possibile rispondere a tutte le domande dell'indagine. Verificare le impostazioni del browser.

Esperienza di lettura

Questo studio fa parte di un progetto di ricerca sulla ricezione dei testi letterari.

Come partecipanti, vi verrà chiesto di svolgere alcuni compiti di lettura che richiederanno circa venti minuti, ma non c'è un limite di tempo. Selezionando "Riprendi più tardi" in alto a destra sarà possibile terminare il questionario in un secondo momento.

I compiti comporteranno la lettura e la risposta a un questionario. Per raccogliere le informazioni vengono utilizzati un questionario pre-lettura e un questionario post-lettura.

È possibile ritirarsi dallo studio in qualsiasi momento, senza fornire alcuna spiegazione e senza alcuna ripercussione.

I dati forniti all’interno del questionario sono anonimi.

N.B.: per poter completare il questionario è necessario rispondere a tutte le domande.

Ci sono 45 domande in questa indagine.
Questa indagine è anonima.

La registrazione delle risposte fornite all'indagine non è relativa a informazioni che consentano l'identificazione del partecipante, a meno che qualche domanda del questionario non la chieda esplicitamente.

Se è stato usato un codice di accesso per accedere a quest'indagine, questo codice non sarà registrato assieme alle risposte fornite. Il codice partecipante è gestito in un database diverso e viene aggiornato soltanto per indicare se è stata completata (o no) l'indagine. Non c'è nessun modo per abbinare i codici di accesso alle risposte all'indagine.

Consenso informato
(Questa domanda è obbligatoria)

Modulo Informativo per la partecipazione – Consenso Informato ADULTO

Questo studio fa parte di un progetto di ricerca sulla ricezione dei testi letterari.

Prima di decidere se partecipare è importante che abbia tutte le informazioni necessarie per aderire in modo consapevole e responsabile. Le chiediamo di leggere questo documento e di fare a chi le ha proposto questo studio tutte le domande che ritiene opportune.

Come partecipanti, vi verrà chiesto di svolgere alcuni compiti di lettura che probabilmente richiederanno meno di un’ora, ma non c'è un limite di tempo. I compiti comporteranno la lettura e la risposta a un questionario. Per raccogliere le informazioni vengono utilizzati un questionario pre-lettura e un questionario post-lettura.

La partecipazione allo studio è volontaria e gratuita. Per i partecipanti la collaborazione non comporta nessun tipo di rischio o disagio.

È possibile ritirarsi dallo studio in qualsiasi momento, senza fornire alcuna spiegazione e senza alcuna ripercussione.

Si ha diritto a richiedere informazioni sui risultati e sull’esito della ricerca.

L’elaborazione dei dati raccolti sarà condotta in modo da eliminare qualsiasi riferimento che possa permettere di ricollegare singole affermazioni a una determinata persona. I risultati della ricerca saranno pubblicati in forma riassuntiva e in nessun caso eventuali brevi citazioni saranno riconducibili a singole persone.

Per qualsiasi informazione e chiarimento su questo studio o per qualsiasi necessità può rivolgersi alla ricercatrice Sara Giuliani sara.giuliani15@unibo.it che è a sua disposizione per ulteriori informazioni o chiarimenti. 

(Questa domanda è obbligatoria)

Consenso informato alla partecipazione allo studio

Il/la partecipante

DICHIARA

di aver letto il modulo informativo, di aver compreso le informazioni in esso contenute;

di aver compreso che la partecipazione allo studio è del tutto volontaria e libera, che ci si potrà ritirare dallo studio in qualsiasi momento, senza dover dare spiegazioni e senza che ciò comporti alcuno svantaggio o pregiudizio;

di aver compreso la natura e le attività che la partecipazione allo studio comportano e i relativi rischi;

di aver compreso che la partecipazione a questo studio non comporterà il riconoscimento di alcun vantaggio di natura economica diretto o indiretto.

Conseguentemente, il/la partecipante

Anagrafica
(Questa domanda è obbligatoria)
Età
Questo è il testo di help della domanda.
(Questa domanda è obbligatoria)
Genere
(Questa domanda è obbligatoria)
Quanto spesso leggi? (Considera gli ultimi 24 mesi)
(Questa domanda è obbligatoria)
Quanto ti piace leggere? (Considera gli ultimi 24 mesi)
(Questa domanda è obbligatoria)
Come leggi? (considera gli ultimi 24 mesi)
(Questa domanda è obbligatoria)
In che lingua leggi? (considera gli ultimi 24 mesi)
(Questa domanda è obbligatoria)
Leggi in lingua originale o in traduzione? (considera gli ultimi 24 mesi)
(Questa domanda è obbligatoria)
Che generi leggi in italiano? (considera gli ultimi 24 mesi)
(Questa domanda è obbligatoria)
Quanto spesso leggi romanzi d'avventura? (Considera gli ultimi 24 mesi)
(Questa domanda è obbligatoria)
Quanto spesso leggi in italiano? (considera gli ultimi 24 mesi)
(Questa domanda è obbligatoria)
Quanto tempo dedichi alla lettura in italiano?
Mi dispiace ma i minori non possono partecipare a questo studio.
Lettura

Ora leggi il testo che segue nello stesso modo in cui lo leggeresti a casa per piacere personale.

Ricorda che devi aver letto il testo per rispondere alle domande del questionario successivo.

(Questa domanda è obbligatoria)
4
1

LETTERA PRELIMINARE. (1)

Hassi-Inifel, 8 novembre 1903.

(1) Questa lettera e il manoscritto che accompagna — il manoscritto in busta a parte, suggellata — furono affidati al maresciallo d’alloggio Châtelain, del 3° spahis, dal tenente Ferrières, il 10 novembre 1903, giorno della partenza di questo ufficiale per il Tassili dei Touareg Azdjer (Sahara centrale). Il maresciallo aveva ordine di rimettere l’uno e l’altro, la prima volta che venisse in licenza in Francia, al signor Leroux, consigliere onorario della Corte d'Appello di Riom, che era il più prossimo parente, del tenente Ferrières. Questo magistrato essendo poi deceduto improvvisamente, prima che spirasse il termine di dieci anni assegnato per la pubblicazione del presente manoscritto, ne sono risultate delle difficoltà che hanno ritardato fino ad oggi la pubblicazione stessa.

Se le pagine che seguono vedranno un giorno la luce del sole, vuol dire che a me sarà stata rapita: il termine che fisso alla loro pubblicazione è per me una garanzia abbastanza sicura.

Desidero che il pubblico non s’inganni sul mio scopo, se preparo e reclamo questa pubblicazione, e che mi si creda se affermo che in questo scritto febbrile non c’è alcun amor proprio di autore. Sono già così lontano da tutte queste cose! Se non che, mi pare inutile che altri si metta per la via dalla quale io non sarò ritornato.

Le quattro del mattino. — Presto l’aurora stenderà sulla hamada il suo roseo incendio. Intorno a me, il bordj sonnecchia, e per la porta socchiusa della sua camera, sento la respirazione calma, tanto calma di Andrea di Saint-Avit.

Fra due giorni partiremo tutti e due. Abbandoniamo il bordj per inoltrarci laggiù, verso il Sud: ieri mattina arrivò l’ordine ministeriale.

Ora, se pur ne avessi voglia, sarebbe troppo tardi per indietreggiare. Andrea ed io abbiamo sollecitato questa missione, e l’autorizzazione che ho domandata di concerto con lui, è diventata ora un ordine. Percorrere la via gerarchica, mettere in moto delle persone influenti presso il ministero, e poi aver paura e nicchiare di fronte all’impresa!...

Ho detto paura; ma so che non ho paura. Quando, nel Gourara, trovai due delle mie sentinelle massacrate, con l’ignobile incisione a croce dei Berabers nel ventre, allora sì ebbi paura. So dunque che cos’è la paura. Ed ora, mentre fisso l’immensità tenebrosa da cui, tra poco, sorgerà di colpo l’enorme sole rosso, so che non tremo di paura, ma che in me lottano l’orrore sacro e l’attrazione del mistero.

Fantasie, forse: immaginazioni di un cervello eccitato e d’un occhio turbato dai miraggi. Certo, un giorno rileggerò queste pagine con un sorriso di pietà impacciata, il sorriso dell’uomo di cinquant’anni che rilegge delle vecchie lettere d’amore.

Fantasie, immaginazioni. Ma queste fantasie, queste immaginazioni mi sono care. «Il capitano di Saint-Avit e il tenente Ferrières, dice il telegramma ministeriale, si applicheranno a sviluppare, nel Tassili, le relazioni statigrafiche dei gres albici e dei calcari carboniferi... Ne approfitteranno per informarsi, eventualmente, delle modificazioni di atteggiamento degli Azdjer di fronte alla nostre influenza, ecc. ...». Se questo viaggio dovesse, alla fine, raggiungere solo così povere cose, sento che non partirei...

Desidero dunque quello che temo: resterò deluso se non mi troverò di fronte a quello che mi fa fremere in modo così strano.

In fondo alla valle dell’Oued Mia, uno sciacallo abbaia. Ad intervalli, quando un raggio di luna, screpolando con sprazzi d’argento le nuvole gonfie di calore, le fa credere al sole nascente, una tortora tuba tra i palmeti.

Un passo, di fuori. Mi chino alla finestra, e scorgo un’ombra, vestita di stoffe nere e lucenti, che scivola sul lastrico della terrazza del fortino. Una luce nella notte carica di elettricità. L’uomo ha acceso una sigaretta, si è accoccolato di fronte al Mezzogiorno e fuma.

È Cegheir-ben-Cheikh, la nostra guida targui, quella che fra tre giorni ci condurrà verso gli altipiani sconosciuti del misterioso Imoschaoch, attraverso le hamade di pietra nera, i grandi oued disseccati, le saline d’argento, i fulvi gour, le dune d’oro matto, sormontate, quando soffia l’aliseo, da un tremulo pennacchio di livida sabbia.

Cegheir-ben-Cheikh! È quello. Mi torna nella memoria la tragica frase di Duveyrier: «Il colonnello mette il piede nella staffa e riceve nello stesso momento una sciabolata (1). . . .» Cegheir-ben-Cheikh!... È là. Fuma tranquillamente una sigaretta, una sigaretta del pacchetto che gli ho dato io... Mio Dio, perdonami questa fellonia!

Il fotoforo manda sulla carta la sua luce gialla. Bizzarro destino, quello che, senza che io sappia precisamente perchè, ha deciso un giorno, a sedici

(1) E. Duveyrier, Désastre de la mission Flatters. Bull. Sòc. gèo., 1881.

anni, che sarei entrato a Saint-Cyr, ed ha fatto di me il compagno di studi di Andrea di Saint-Avit. Avrei potuto studiare il diritto o la medicina, ed oggi sarei un uomo tranquillo, in una città dove ci sarebbe una chiesa e l’acqua corrente; e non questo fantasma vestito di tela, affacciato, con una ansietà inesprimibile, verso il deserto che sta per inghiottirlo.

Un grosso insetto è entrato dalla finestra. Ronza, salta dalle pareti intonacate al globo del fotoforo, e finalmente, vinto, con le ali bruciate dalla fiamma ancora alta, si abbatte sul foglio bianco, qui.

È un calabrone d’Africa, enorme, nero, con alcune macchie d’un grigio livido.

Penso a quegli altri, ai suoi fratelli di Francia, ai calabroni bronzo e oro che nelle sere temporalesche d’estate vedevo lanciarsi come piccole palle dal suolo della mia campagna natale. Fanciullo, ho passato là le mie vacanze; più tardi, le mie licenze. Durante l’ultima di esse, su quella stessa prateria, accanto a me camminava una sottile forma bianca, con una sciarpa di mussola, perchè l’aria della sera è molto fresca laggiù. Ed ora, è già molto se, sfiorato da quel ricordo, lascio che il mio sguardo si alzi per un secondo verso un angolo oscuro della mia camera, ove sulla parete nuda brilla il vetro d’un ritratto che non vedo bene. Intendo quanta importanza ha perduto quello che una volta mi pareva dovesse essere per me tutta la vita. Quel misero mistero ormai non ha interesse per me. Se i cantori ambulanti di Rolla venissero sotto questa finestra di bordj a mormorare le loro famose arie nostalgiche, so che non li ascolterei, e se divenissero troppo insistenti, li rimanderei per la loro via.

Che cosa è bastato per una simile metamorfosi? Una storia, una favola forse, e in ogni modo, favola o storia, raccontata da un uomo sul quale pesa, il più mostruoso sospetto.

Cegheir-ben-Cheikh ha terminato la sua sigaretta. Sento che ritorna a passi lenti verso la sua stuoia, nel casamento B, presso il posto di guardia, a sinistra.

La nostra partenza deve aver luogo il 10 novembre. Il manoscritto unito a questa lettera è stato cominciato domenica 1° e terminato giovedì 5 novembre 1903.

Oliviero Ferrières

Tenente nel 3° spahis.

 

CAPITOLO I.

Un fortino del Sud.

Il sabato 6 giugno 1903 ruppe la vita monotona che si menava nella ridotta di Hassi-Inifel con due avvenimenti d’ineguale importanza: l’arrivo di una lettera della signorina Cecilia di C..., e quello dei numeri più recenti del Journal Officiel della Repubblica francese.

— Se il signor tenente permette... — disse il maresciallo d’alloggio Châtelain, mettendosi a percorrere i numeri del Journal, di cui aveva rotto le fascette.

Consentii con un cenno di testa, già immerso completamente nella lettura della missiva della signorina di C...

“Quando riceverete questa mia — scriveva in sostanza l’amabile signorina — la mamma ed io avremo certo lasciato Parigi per la campagna. Se quindi, nel vostro bled, l’idea che io mi annoio quanto voi può consolarvi, siate felice.

Si è corso il Gran Premio: bo puntato sul cavallo che mi avevate indicato, e naturalmente ho perduto. Ieri l’altro andammo a pranzo dai Martial de la Touche. C’era Elias Chatrian, sempre stupefacentemente giovane. Vi mando il suo ultimo libro, che fa molto chiasso. Pare che i Martial de la Touche vi siano dipinti al vivo. Aggiungo gli ultimi di Bourget, di Loti e di France, più le due o tre canzonette alla moda nei caffè-concerto. Quanto alla politica, si dice che l’applicazione della legge sulle Congregazioni incontrerà serie difficoltà. Niente di nuovo nei teatri. Ho preso l’abbonamento estivo all’Illustration. Questo vi dica...

In campagna, non si sa che fare. Sempre lo stesso mucchio d’idioti in prospettiva per il tennis. Non ci avrò merito a scrivervi spesso. Risparmiatemi le vostre riflessioni a proposito del piccolo Combemale. Non sono femminista proprio per niente, avendo abbastanza fiducia in quelli che mi dicono graziosa, ed in voi specialmente. Ma ad ogni modo mi fa rabbia l’idea che se mi permettessi con uno solo dei nostri garzoni di fattoria il quarto della confidenza che voi vi pigliate certamente con le vostre Ouled-Nails... Passiamo oltre. Ci sono al mondo delle immaginazioni troppo scortesi».

Ero a questo punto della prosa di quella fanciulla emancipata, quando un’esclamazione scandolezzata del maresciallo mi fece alzare la testa.

— Signor tenente!

— Che c’è?

— Ma ne fanno delle belle al Ministero. Leggete questa.

E mi porse l’Offìciel. Io lessi:

«Con decisione in data del 1° maggio 1903, il capitano di Saint-Avit (Andrea), fuori quadro, è adetto al 3° spahis, e nominato al comando del posto di Hassi-lnifel.»

Il cattivo umore di Châtelain intanto si faceva espansivo:

— Il capitano di Saint-Avit comandante del posto! Un posto sul quale non c’è mai stato niente da dire! Ci prendono dunque per uno smaltitoio?

La mia sorpresa era uguale a quella del sottufficiale. Ma mi accorsi subito che Gourrut, il joyeux che impiegavamo come scrivano, con quella sua faccia cattiva di faina, aveva smesso di scrivere e ascoltava con mal celato interesse.

— Maresciallo, il capitano di Saint-Avit è stato promosso ufficiale con me — dissi seccamente.

Châtelain salutò ed uscì: io lo seguii.

— Su, vecchio — gli dissi battendogli sulla spalla — non mi fate il broncio. Ricordatevi che tra un’ora partiamo per l’oasi. Preparate le cartucce: bisogna migliorare seriamente l’ordinario dei pasti.

Rientrai nell’ufficio, congedai con un gesto Gourrut e, rimasto solo, terminai rapidamente la lettera della signorina di C...: poi presi di nuovo il Journal Offìciel e rilessi la decisione ministeriale che dava al posto un nuovo capo.

Erano quasi cinque mesi che io ne facevo le funzioni, e a dir la verità ne sopportavo bene la responsabilità perchè l’indipendenza mi piaceva molto. Posso anche affermare, senza illudermi, che sotto la mia direzione il servizio era andato meglio che col capitano Dieulivol, il predecessore di Saint-Avit. Brav’uomo, il capitano Dieulivol, coloniale della vecchia scuola , ma affetto da una terribile propensione pei liquori forti, e troppo incline, quando aveva bevuto, a confondere tutti i dialetti, e a far subire a un Haoussa un interrogatorio in sakalave. Non c’è mai stato nessuno più economo di lui delle provviste d’acqua del posto.

Una mattina, mentre preparava il suo assenzio in compagnia del maresciallo Châtelain, costui, che teneva gli occhi fissi sul bicchiere del capitano, fu stupito di vedere il verde liquore divenir bianco sotto una dose d’acqua più forte del solito. Alzò la testa, intuendo che doveva essere accaduto qualcosa di anormale. Il capitano Dieulivol, irrigidito, con la caraffa in mano, inclinata, fissava l’acqua che gocciolava sullo zucchero. Era morto.

Per cinque mesi, dopo la scomparsa di quel simpatico ubriacone, era parso che in alto luogo si disinteressassero della sua sostituzione. Per un momento, avevo anche sperato che si prendesse una decisione, investendomi di diritto delle funzioni che esercitavo di fatto... Ed ora invece, quella nomina improvvisa...

Il capitano di Saint-Avit... Dopo aver seguito insieme i corsi a Saint-Cyr, l’avevo perduto di vista. Poi la mia attenzione era stata attratta su lui dal suo rapido avanzamento, dalla decorazione, ricompensa meritata di tre viaggi di esplorazione singolarmente audaci, nel Tibesti e nell’Air; e ad un tratto il dramma misterioso del suo quarto viaggio, la famosa missione intrapresa col capitano Morhange donde uno solo dei due esploratori era tornato. In Francia tutto si dimentica presto, e d’allora erano passati sei anni. Non avevo più sentito parlare di Saint-Avit; credevo financo che avesse lasciato l’esercito. Ed ecco che ora mi trovavo ad averlo per capo.

«Su via — pensai — quello o un altro!... Alla Scuola, era simpatico, e siamo stati sempre in buoni rapporti. Del resto, non ho gli anni anni voluti per passar capitano.»

E uscii dall’ufficio fischiettando.

Eravamo ora, Châtelain ed io, coi fucili posati sulla terra già meno calda, presso lo stagno posto nel mezzo della magra oasi, nascosto dietro una specie di graticciata di alfa. Il sole al tramonto dava un riflesso rosato ai piccoli canali stagnanti che irrigano le povere culture dei negri sedentari.

Non una parola durante il cammino; non una durante la posta: era evidente che Châtelain teneva il broncio.

Abbattemmo in silenzio, volta a volta, alcune delle misere tortorelle che venivano, con le piccole ali strascicanti sotto il peso del calore del giorno, a spegnere la sete nella greve acqua verde dello stagno. Quando una mezza dozzina di piccoli corpi sanguinosi furono allineati ai nostri piedi, misi la mano sulla spalla del sottufficiale.

— Châtelain!

Egli trasalì.

— Châtelain, vi ho trattato un po’ bruscamente allora, ma non bisogna volermene. Era l’ora cattiva che precede la siesta, l’ora cattiva del mezzogiorno.

— Il signor tenente è padrone... — egli cominciò, con un tono che voleva essere burbero, ed era commosso.

— Châtelain, non bisogna volermene... Voi avete qualche cosa da dirmi: sapete di che intendo parlare.

— Non capisco veramente... No, non capisco.

— Châtelain, Châtelain, siamo seri. Parlatemi un po’ del capitano di Saint-Avit.

— Io non so nulla — diss’egli ruvidamente.

— Nulla? E le parole di poco fa?

— Il capitano di Saint-Avit è un valoroso — mormorò, con la fronte ostinatamente bassa. — Egli è andato solo a Bilma, nell’Air, solo, in luoghi dove nessuno era mai stato. È un valoroso.

— Certo, è un valoroso — dissi con dolcezza infinita; — ma ha assassinato il suo compagno, il capitano Morhange, non è vero?

Vidi tremare il vecchio maresciallo.

—        È un valoroso — ripetè ostinato.

—        Châtelain, siete un ragazzo. Temete forse che io riporti le vostre parole al nuovo comandante?

Avevo toccato la corda. Egli sussultò.

— Il maresciallo Châtelain non ha paura di nessuno, signor tenente. Sono stato ad Abomey, contro le Amazzoni, in un paese ove da ogni cespuglio usciva un braccio nero per afferrarvi la gamba, mentre un altro, armato d’un coltellaccio, ve la tagliava netto come un ramo.

— Dunque, quello che si dice, quello che anche voi...

— Son tutte parole.

— Parole, Châtelain, che si ripetono in Francia e da per tutto.

Egli abbassò anche più la testa, senza rispondere.

Io scattai:

— Testa d’asino, vuoi parlare alla fine?

— Signor tenente, signor tenente — disse il maresciallo con voce supplichevole, — vi giuro che quello che so è come niente...

— Quello che sai, me lo devi dire, e subito. Se no, ti giuro che per un mese non ti rivolgo più la parola se non per ragioni di servizio.

Hassi-Inifel: trenta goumiers indigeni; quattro europei, io, il maresciallo, un sergente e Gourrut. La minaccia era terribile, e fece effetto.

— Ebbene, ecco, signor tenente — disse, dando un gran sospiro. — Dopo, però, non mi rimprovererete di avervi riferito, su un capo, delle cose che non vanno dette, sovratutto quando non hanno altro fondamento che delle chiacchiere di mensa.

— Parla.

 

LETTERA PRELIMINARE (1)

(1) Questa lettera, come pure il manoscritto ad essa unito, quest’ultimo in busta sigillata, furono affidati al maresciallo d’alloggio Châtelain, del 3° Spahis, dal tenente Ferrières, il 10 novembre 1903, giorno della partenza di questo ufficiale per il Tassili dei Tuareg Azger (nel Sahara Centrale). Il maresciallo d’alloggio ebbe l’incarico di consegnarli, alla sua prima licenza, al signor Leroux, consigliere onorario alla Corte di Appello di Riom, il parente più stretto del tenente Ferrières. Essendo questo magistrato deceduto improvvisamente prima della scadenza del termine di dieci anni, fissato per la pubblicazione del presente manoscritto, sorsero alcune difficoltà che ne hanno ritardato fino al 1919  la pubblicazione stessa.

Hassi-Jnifel, 8 Novembre 1903.

Se le pagine che seguono vedranno un giorno la luce del sole, vorrà dire che essa a me è stata tolta per sempre. Il termine che ho fissato per la loro divulgazione mi sembra esserne sicura garanzia.

Quando la pubblicazione apparirà, non si fraintenda lo scopo che mi ha spinto a prepararla. Mi si può credere, se io affermo di non aver alcun amor proprio d’autore per questi fogli febbricitanti. Sono fin d’ora così lontano da tutto questo! Ad ogni modo è inutile che altri si inoltrino per la strada da cui non sarò ritornato.

Sono le quattro del mattino. Tra breve l’aurora accenderà l’hamada di rosei bagliori. Intorno a me, il fortino sonnecchia. Attraverso la porta socchiusa della sua camera, odo il respiro calmo, molto calmo, di Andrea di Saint-Avit.

Fra due giorni, egli ed io partiremo. Lasceremo il fortino. Ci interneremo laggiù, verso il sud. L’ordine del Ministero è arrivato ieri mattina.

Oramai, anche se lo volessi, sarebbe troppo tardi per rifiutare. Andrea ed io abbiamo anzi sollecitato questa missione e l’autorizzazione richiesta è ora divenuta un ordine. Sarebbe pertanto assurdo aver mossi e la via gerarchica e l’interessamento di persone autorevoli presso il Ministero per poi aver paura o per tentennare di fronte all’impresa!....

Aver paura, ho detto. Io so di non aver paura. Una notte, nel Gurara, allorché trovai due mie sentinelle assassinate, con al ventre l’ignobile incisione a forma di croce usata dai Berberi, ebbi paura. So che cosa sia la paura. Così ora, quando fisso col mio sguardo l’immensità tenebrosa da cui spunterà bruscamente l’enorme disco rosso del sole, so di trasalire  per paura. Sento lottare in me l’orrore sacro del mistero ed il suo incanto.

Illusioni, forse. Fantasie di una mente esaltata e di uno sguardo ingannato dai miraggi. Verrà il giorno in cui rileggerò queste pagine con un sorriso di compassione impacciata, il sorriso dell’uomo cinquantenne che rilegge vecchie lettere.

Illusioni! Fantasie! Ma esse mi sono care. «Capitano de Saint-Avit e il tenente Ferrières», dice il dispaccio del Ministero, «studieranno i rapporti sulla natura delle arenarie e dei calcari carboniferi... Essi ne approfitteranno per informarsi, eventualmente, delle modifiche di atteggiamento degli Azger di fronte alla nostra influenza ecc...».

Se questo viaggio, invero, dovesse avere attinenza solamente a tante misere cose, sento che non partirei...

Dunque desidero ciò che temo e sarei deluso se non potessi trovarmi a faccia a faccia con ciò che mi fa stranamente fremere.

In fondo alla vallata dell’Uadimia, latra uno sciacallo. Di tratto in tratto, quando un raggio di luna, forando con la sua punta d’argento le nuvole gonfie di calore, le dà l’illusione del sole nascente, una tortorella tuba fra i palmeti.

Un passo avanti. Mi affaccio alla finestra. Un’ombra avvolta in abiti neri e lucenti scivola sul muro della terrazza del fortino. Una luce nella notte fonda. L’uomo ha appena acceso una sigaretta. Si è accovacciato, la fronte rivolta verso Sud. Fuma.

È Segheïr-ben-Scheïkh, la nostra guida targui, che fra tre giorni ci condurrà verso gli altipiani sconosciuti dell’Imoschaoch misterioso, attraverso le hamadas di pietra nera, i grandi corsi d’acqua disseccati, le saline d’argento , le dune d’oro falso, soffuse, quando spirano gli alisei, da un tremolante pennacchio di pallida sabbia.

Segheïr-ben-Scheïkh! È lui. Mi viene in mente la tragica frase di Duveyrier: « Il colonnello mette il piede sulla staffa e riceve nello stesso tempo una sciabolata (1).

(1) H. Duveyrier: Il disastro della missione Flatters, «Bollettino della Soc. Geografica», 1881.

Eccolo là. Fuma tranquillamente una sigaretta, una sigaretta del pacchetto che gli ho regalato... Dio mio! Perdonami questa debolezza.

Il fotoforo proietta sul foglio la sua luce giallastra. Strano destino quello che, a sedici anni, senza che io ne sapessi veramente il perchè, un giorno decise che andassi a Saint-Cyr e fece di me il compagno di Andrea de Saint-Avit.

Avrei potuto studiare legge, medicina. Oggi sarei una persona tranquilla, in una città con la sua chiesa e l’acqua corrente e non un fantasma vestito di cotone che, appoggiato alla finestra, guarda, con indicibile angoscia, il deserto che sta per inghiottirlo.

Un grosso insetto è entrato dalla finestra. Ronza, rimbalza dalle pareti intonacate sul globo della lampada; infine, vinto, con le ali bruciacchiate dalla candela ancora calda, va a precipitare sul foglio bianco.

È un maggiolino africano, enorme, nero, chiazzato di grigio chiaro.

Penso agli altri, ai suoi fratelli di Francia, a quei maggiolini rossi e neri che, nelle sere temporalesche d’estate, vedevo scattare come tante palline dal suolo della mia campagna natia, dove fanciullo, passavo le mie vacanze e, più tardi, le mie licenze.

L’ultima volta, su quello stesso prato, al mio fianco camminava una figurina bianca e sottile, con una sciarpa di mussolina al collo.

Ora, sfiorato da questo ricordo, è quasi con fatica che lascio innalzarsi il mio sguardo per un solo istante verso un angolo buio della camera, sulla nuda parete, dove brilla il vetro di un ritratto confuso. Comprendo come ciò che mi sembrò rappresentasse tutta la mia vita abbia ora perduto la sua importanza. Questo triste mistero è ormai privo di interesse per me. Se i cantori ambulanti di Rolla venissero sotto questa finestra del fortino a canticchiare le loro famose arie nostalgiche, sento che non li ascolterei e, se essi si facessero troppo insistenti, li caccerei via.

Che cosa provocò questa metamorfosi? Una storia, una fiaba forse, narrata  da qualcuno su cui grava il piò mostruoso dei sospetti.

Segheïr-ben-Scheïkh ha finito la sua sigaretta. Lo sento raggiungere lentamente la sua stuoia, nel reparto B, vicino al posto di guardia, a sinistra.

La nostra partenza dovrà aver luogo il 10 novembre; il manoscritto accluso, incominciato alla domenica, è terminato al giovedì, 5 novembre 1903.

Oliviero Ferrières

Tenente del 3° Spahis.

I

UN PRESIDIO DEL SUD

Il sabato 6 giugno 1903 ruppe la monotonia della vita che si conduceva al comando di Hassi-Jnifel con due avvenimenti di diversa importanza: l’arrivo di una lettera della signorina Cecilia de C..., e quello dei numeri più recenti della «Gazzetta Ufficiale» della Repubblica Francese.

— Il signor tenente permette? — domandò il maresciallo capo d’alloggio Châtelain, mettendosi a sfogliare i giornali a cui aveva tolto le fascette.

Assentii con un cenno del capo, già immerso nella lettura della lettera della signorina de C...

«Quando riceverete questa mia», scriveva in sostanza quella cara figliola, «la mamma ed io avremo senza dubbio lasciato Parigi per la campagna. Se, nel vostro romitaggio, vi può essere di conforto il pensiero che io m’annoi quanto voi, rallegratevene.

Il Grand-Prix ha avuto luogo. Ho puntato sul cavallo che mi avete indicato voi e, naturalmente, ho perso. L’antivigilia siamo stati a pranzo dai Martial de la Touche. C’era Elias Chatrian, sempre straordinariamente giovane.

«Vi mando il suo ultimo libro, che ha fatto abbastanza rumore. Sembra che i Martial de la Touche vi siano raffigurati al naturale. Vi aggiungo gli ultimi volumi di Bourget, di Loti e di France, oltre a due o tre motivi di moda nei caffè concerto. In quanto alla politica, si dice che l’applicazione della legge sulle congregazioni incontrerà realmente degli ostacoli. Nulla di veramente nuovo nel campo teatrale. Mi sono abbonata all’Illustrazione per tutta l’estate. Se tutto ciò vi sembra divertente...

In campagna non si sa che fare. Sempre la solita compagnia di imbecilli in attesa del tennis. Non avrei alcun merito se vi scrivessi spesso. Risparmiatemi la vostra opinione sul piccolo Combemale. Non sono femminista per quattro soldi ed ho abbastanza fiducia in quelli che mi dicono graziosa e particolarmente in voi. Ma in fondo mi arrabbio al pensiero che se io mi permettessi con un solo dei nostri contadini la quarta parte della confidenza che voi vi prendete certamente con le vostre Uled-Naïfs... Ma lasciamo andare. Sono fantasticherie poco delicate».

Mi trovavo a questo punto della lettera di questa ragazza emancipata, quando un’esclamazione scandalizzata del maresciallo mi fece alzare la testa.

— Signor tenente!

— Che c’è?

— Ne hanno delle belle al Ministero. Leggete.

Mi porse la Gazzetta. Lessi:

«Con disposizione in data 1 maggio 1903, il capitano Andrea Saint-Avit, fuori organico, è destinato al 3° Spahis e nominato comandante del presidio di Hassi-Jnifel ».

Il cattivo umore di Châtelain diventava esagerato.

— Il capitano de Saint-Avit comandante del presidio! Un posto sul quale nessuno ha mai avuto nulla da ridire !

Il mio stupore non era minore di quello del sottufficiale, ma nello stesso tempo, vidi la brutta faccia di faina di Gourrut, il joyeux (1) che funzionava da scritturale, il quale aveva smesso di scarabocchiare per ascoltare con mal dissimulato interesse.

(1) Soprannome dato ai soldati francesi delle colonie africane.

— Maresciallo, il capitano di Saint-Avit è mio collega di prima nomina! — dissi seccamente.

Châtelain s’inchinò ed uscì; lo seguii.

— Su, vecchio mio, — gli dissi battendogli una mano sulla spalla, — non mettete il broncio. Ricordatevi che fra un’ora partiremo per l’oasi. Preparate le cartucce. Dobbiamo migliorarlo sul serio il rancio. —

Rientrato in ufficio, congedai Gourrut. Rimasto solo, terminai rapidamente la lettera della signorina de C..., poi presi di nuovo la Gazzetta e rilessi la decisione ministeriale che assegnava al presidio il nuovo comandante.

Erano cinque mesi che io ne esercitavo le funzioni e, in fede mia, non avevo mai tradito la mia responsabilità ; posso anzi affermare, senza peccare d’immodestia, che sotto la mia direzione il servizio aveva funzionato ben diversamente da quando ne era a capo il capitano Dieulivol, il predecessore . Brav’uomo, il capitano Dieulivol; ufficiale ' coloniale della vecchia scuola, sottufficiale dei Dodds e dei Duchesne, ma affetto da una maledetta tendenza per l’alcole e troppo propenso, dopo aver bevuto, a confondere le idee . Nessuno più di lui ebbe maggior parsimonia delle risorse idriche del posto!

Un mattino stava preparandosi l’assenzio, quando il maresciallo capo Châtelain, che aveva lo sguardo fisso sul bicchiere del capitano, vide con stupore il verde liquore sbiancarsi sotto una dose d’acqua maggiore del consueto. Rialzò la testa, comprendendo che qualcosa d’anormale era accaduto. Immobile, con la caraffa inclinata in mano, il capitano Dieulivol fissava l’acqua che gocciolava sullo zucchero. Era morto.

Per cinque mesi, dopo la scomparsa di questo simpatico ubriacone, era parso che in alto loco si disinteressassero della sua sostituzione; anzi, avevo quasi sperato per un momento che venissi investito di diritto delle funzioni che io esercitavo di fatto... Ed invece, quella nomina improvvisa...

Il capitano de Saint-Avit... A Saint-Cyr, era con me recluta. L’avevo perduto di vista. Più tardi la mia attenzione su di lui era stata richiamata dalla sua rapida carriera, poi dalla decorazione di cui fu insignito, meritata ricompensa di tre viaggi d’esplorazione, particolarmente rischiosi, al Tibesti e nell’Air; in ultimo, dal dramma misterioso del suo quarto viaggio, per compiere un’importante missione col capitano Morhange, da cui lui solo era ritornato . Erano passati ben sei anni da questo fatto. Non avevo più sentito parlare di Saint-Avit. Credevo anzi che avesse abbandonato la carriera. Ed ora, ecco che mi toccava averlo per superiore

— Suvvia, — mi dissi, — tanto, o lui o un altro!... Del resto, alla scuola era molto simpatico e con lui avevo avuto sempre i migliori rapporti . Uscii dall’ufficio fischiettando.

* * *

Ci trovavamo ora, Châtelain ed io, coi fucili appoggiati alla terra già meno calda, presso il laghetto situato nel centro della sterile oasi, nascosti dietro una siepe di alfa. Il sole, che tramontava, coloriva di rosa i canaletti stagnanti che irrigano le povere colture dei negri sedentari.

Non una parola durante il cammino. Non una parola durante la posta. Evidentemente, Châtelain teneva il broncio.

Senza parlare, abbattemmo alcune delle infelici tortorelle che, agitando faticosamente le alucce per il forte calore del giorno, venivano ad estinguere la loro arsura alla densa acqua verdastra.

Quando una mezza dozzina di quei miseri corpi insanguinati fu allineata ai nostri piedi, posai una mano sulla spalla del sottufficiale.

— Châtelain!

Egli trasalì.

— Châtelain, poco fa vi ho rimproverato. Non dovete avervene a male. Era un momento poco felice...

— È il signor tenente che comanda — mi rispose, con tono che voleva essere burbero ed era soltanto commosso.

— Châtelain, non dovete prendervela... voi avete qualcosa da dirmi. Sapete di che intendo parlare?

— Veramente non so. No, non lo so.

— Châtelain, Châtelain, parliamo seriamente! Parlatemi del capitano de Saint-Avit.

— Non ne so nulla — disse bruscamente.

— Proprio nulla? E allora, quelle parole di poco fa?

— Il capitano de Saint-Avit è un prode, — mormorò con la fronte ostinatamente bassa. — Partì tutto solo per Bilma, per l’Air, per luoghi dove nessuno era mai stato. È un eroe!

— È un prode senza dubbio, — dissi con grande dolcezza; — fu lui ad assassinare il suo compagno, il capitano Morhange; non è vero?

Il vecchio maresciallo tremò.

— È un coraggioso, — ripetè, ostinatamente.

— Châtelain, siete un bambino. Temete forse che riferisca le vostre parole al nuovo capitano?

Avevo colpito nel segno. Châtelain ebbe un sussulto.

— Il maresciallo d’alloggio Châtelain non ha paura di nessuno, signor tenente! È stato  ad Abomey, contro gli Amazotari, in un paese dove, da ogni cespuglio, sbucava un braccio nero che vi afferrava alla gamba, mentre un altro, ratto come il lampo, con una coltellata ve la tagliava netta.

— Allora tutto quello che si dice, che anche voi...

— Son tutte chiacchiere!

— Chiacchiere, sì, Châtelain, ma che in Francia si ripetono dappertutto.

Il sottufficiale abbassò ancor più la fronte, senza rispondere.

— Testa d’asino, — scattai allora, — vuoi parlare?

— Signor tenente, signor tenente, — mi supplicò egli, — vi giuro che non so o...

— Quello che sai me lo dirai, e subito! Altrimenti ti giuro che, per un mese, non ti rivolgerò mai più la parola che per servizio.

Hassi-Jnifel:   trenta goumiers (1) indigeni, quattro europei: io, il maresciallo, un brigadiere e Gourrut. La minaccia era tremenda. Sortì il suo effetto.

(1) Soldati di un «gouru» cioè di contingenti formati da arabi, al comando di ufficiali francesi, usati specialmente nei servizi di esplorazione.

— Ebbene, sì, signor tenente! — fece Châtelain, traendo un grosso sospiro; dopo però non mi rimprovererete di avervi raccontato a carico di un superiore cose che non si dovrebbero riportare, soprattutto quando esse non si basano che su indiscrezioni...

— Parla!

LETTERA PRELIMINARE *

* Questa lettera e il manoscritto che l’accompagna — il manoscritto in busta a parte, suggellata — furono affidati al maresciallo d’alloggio Châtelain, del 3° spahi, dal tenente Ferrières, il 10 novembre 1903, giorno della partenza del suddetto ufficiale per il Tassili dei Tuareg Azdjer (Sahara centrale). Il maresciallo aveva l’ordine di consegnare l’una e l’altro, la prima volta che venisse in licenza in Francia, a Monsieur Leroux, consigliere onorario della Corte d’appello di Riom, che era il parente più prossimo del tenente Ferrières. Poiché il magistrato è deceduto improvvisamente, prima che scadesse il termine di dieci anni fissato per la pubblicazione del presente manoscritto, ne sono risultate le difficoltà che hanno ritardato fino a oggi la presente edizione.

Hassi-Inifel, 8 novembre 1903.

Se le pagine che seguono vedranno un giorno la luce del sole, vuol dire che essa mi sarà stata tolta. Il termine che fisso alla loro divulgazione rappresenta per me una garanzia abbastanza sicura.

Che non ci si inganni sul mio scopo ultimo per quanto riguarda questa divulgazione, poiché la preparo e la richiedo. Mi si può credere se affermo che non ripongo nessun amor proprio di autore in questo testo febbrile. Fin da oggi sono così lontano da tutto ciò! Sinceramente, mi sembra però inutile che altri si avventurino sulla via dalla quale io non sarò più ritornato.

Le quattro del mattino. Presto l’aurora stenderà sulla hamada il suo incendio rosato. Intorno a me, il bordj sonnecchia. Dalla porta socchiusa della sua camera, sento il respiro tranquillo, così tranquillo, di André de Saint-Avit.

Tra due giorni, lui ed io, partiremo. Lasciamo il bordj. Ci inoltriamo laggiù, verso sud. L’ordine del ministero è giunto ieri mattina.

Ora, anche se lo volessi, sarebbe troppo tardi per tirarmi indietro. André e io abbiamo sollecitato questa missione. L’autorizzazione che ho richiesta, di comune accordo con lui, si è trasformata ora in ordine. Percorrere la via gerarchica, mettere in moto persone influenti al ministero, aver fatto tutto questo per poi aver paura, torcere il naso di fronte all’impresa!...

Aver paura, ho detto. Io so che non ho paura. Una notte, nel Gourara, quando ho trovato due delle mie sentinelle massacrate, con l’infame incisione a forma di croce dei Berberi sul ventre, ho avuto paura. So dunque che cos’è la paura. Anche adesso, mentre contemplo l’immensa coltre di tenebra da cui tra poco sorgerà improvvisamente la sfera gigantesca e rossa del sole, so che non è la paura che mi fa trasalire. Sento che in me lottano il sacro orrore del mistero e il suo fascino.

Esaltazioni, forse. Immaginazioni di un cervello esasperato e di un occhio sconvolto dai miraggi. Certamente verrà il giorno in cui rileggerò queste pagine con un sorriso pietoso e imbarazzato, il sorriso di un uomo di cinquant’anni che rilegge vecchie lettere.

Esaltazioni. Immaginazioni. Ma queste esaltazioni, queste immaginazioni mi sono care. Il capitano de Saint-Avit e il tenente Ferrières, dice il dispaccio ministeriale, si occuperanno di scoprire, nel Tassili, le relazioni stratigrafiche dei grès albici e dei calcari carboniferi... Ne approfitteranno per informarsi, eventualmente, sui mutati atteggiamenti degli Azdjer nei confronti della nostra influenza, ecc. Se questo viaggio dovesse, alla fine, ridursi a così povere conclusioni, sento che non partirei...

Auspico dunque quello che temo. Resterò deluso se non mi troverò di fronte a quello che mi fa fremere in modo così insolito.

In fondo alla vallata dell’uadi Mia, uno sciacallo abbaia. A intervalli, quando un raggio di luna, squarciando con riflessi argentei le nubi rigonfie di calore, fa credere al sole nascente; una tortorella tuba tra i palmizi.

Un passo, all’esterno. Mi affaccio alla finestra. Un’ombra vestita di stoffe nere e rilucenti scivola sul selciato della piattaforma del fortino. Un bagliore nella notte carica di elettricità. L’uomo ha appena acceso una sigaretta. Si è accoccolato, rivolto a mezzogiorno. Fuma.

È Cegheïr-ben-Cheïkh, la nostra guida tuareg, colui che fra tre giorni ci condurrà verso gli altipiani sconosciuti del misterioso Imoschaoch, attraverso le hamade di pietre nere, i grandi uadi prosciugati, le saline d'argento, i fulvi gour, le dune d’oro smorto, da cui si alza, quando soffia l’aliseo, un tremulo pennacchio di sabbia livida.

Cegheïr-ben-Cheïkh! È proprio lui. Mi torna alla mente, la tragica frase di Duveyrier: Il colonnello mette il piede nella staffa e riceve contemporaneamente una sciabolata **... Cegheïr-ben-Cheïkh... È là. Fuma tranquillamente una sigaretta, una sigaretta del pacchetto che gli ho dato...Dio mio! perdonami questo atroce tradimento.

** H. Duveyrier, Désastre de la mission Flatters, Bulletin de la Société géographique 1881.

Il fotoforo1 proietta la sua luce sulla carta gialla. Strano destino quello che ha deciso, a mia insaputa e con motivazioni per me inconoscibili, di farmi entrare sedicenne a Saint-Cyr2, dove avrei avuto come compagno André de Saint-Avit.

1.         Fotoforo: lampada munita di riflettore.

2.         Saint-Cyr-l'EcoIe: (Yvelines, vicino a Versailles) scuola speciale militare, fondata 1808 nel preesistente collegio femminile, aperto sotto il patrocinio di Luigi XIV e di de Maintenon.

Avrei potuto studiare diritto, medicina. Sarei oggi un uomo completamente tranquillo, in una città, con una chiesa e dei corsi d’acqua; e non questo fantasma vestito di cotone, affacciato al davanzale, con ansia inesprimibile, sul deserto che sta per inghiottirlo.

Un grosso insetto è entrato dalla finestra. Ronza e rimbalza dalle pareti intonacate a calce sino al globo del fotoforo, e infine vinto, con le ali bruciate dalla fiamma ancora alta, si lascia cadere proprio là, sul foglio bianco.

È un calabrone d’Africa, enorme, nero, con macchie di un grigio biancastro.

Penso agli altri, a quelli che si trovano in Francia, ai calabroni bruni dai riflessi dorati che, nelle sere cariche dei temporali estivi vedevo schizzare come proiettili dal suolo della mia campagna natia. Bambino, ho trascorso laggiù le vacanze; più tardi, le licenze.

Durante l’ultima, in quella stessa distesa di prati, camminava vicino a me una sottile forma bianca, con una sciarpa di mussola, per ripararsi dall’aria serotina, così fresca da quelle parti. Ora è già tanto se, sfiorato da quel ricordo, lascio che il mio sguardo si levi per un secondo verso un angolo scuro della mia camera, dove sul muro nudo brilla il vetro di un ritratto indistinto. Capisco quanto valore ha perduto ciò che un tempo pareva dovesse costituire tutta la mia vita. Quel mistero dolente non ha ormai nessun interesse per me. Se i cantori ambulanti di Rolla3 venissero sotto questa finestra del bordj a sussurrare le loro celebri arie nostalgiche, so che non li ascolterei, e se si facessero troppo insistenti, li manderei via.

3.  Rolla: allusione a una raccolta poetica, del 1833, dello scrittore francese Alfred de Musset (1810-1857). In questo libro, il poeta esprime il suo rincrescimento nel veder ormai scomparsa la semplice felicità dei secoli passati e la fede incrollabile, saldo appannaggio dei primi secoli del Cristianesimo.

Che cosa ha motivato questa metamorfosi? Una storia, un racconto forse, narrato in ogni modo, da una persona sulla quale pesa il più mostruoso dei sospetti.

Cegheïr-ben-Cheïkh ha finito la sigaretta. Lo sento riguadagnare a passi lenti la sua stuoia, nel casamento B, vicino al posto di guardia, a sinistra.

Dovendo partire il 10 novembre, il manoscritto unito a questa lettera è stato incominciato domenica 1 e terminato giovedì 5 novembre 1906.

UN PRESIDIO DEL SUD

Sabato 6 giugno 1903 ruppe la vita monotona che si conduceva nel presidio di Hassi-Inifel grazie a due avvenimenti di diversa portata: l’arrivo di una lettera di Mademoiselle Cécile de C... e quello dei numeri più recenti del Journal officiel della Repubblica Francese.

“Se il signor tenente permette” — disse il maresciallo d’alloggio Châtelain, mettendosi a scorrere i numeri del giornale, di cui aveva rotto le fascette.

Acconsentii con un cenno del capo, già completamente immerso nella lettura della missiva di Mademoiselle de C...

Quando riceverete questa mia, scriveva in sostanza l’amabile giovinetta, la mamma ed io avremo sicuramente già lasciato Parigi per la campagna. Se, nel vostro bled, l’idea che mi annoi quanto voi può consolarvi, rallegratevi.

Si è corso il Grand Prix. Ho puntato sul cavallo che mi avevate suggerito, e, naturalmente, ho perduto. L’altro ieri, abbiamo cenato dai Martial de La Touche. C’era Elias Chatrian, sempre straordinariamente giovane. Vi mando il suo ultimo libro, che suscita molto scalpore. Pare che i Martial de La Touche vi siano ritratti dal vivo. Aggiungo gli ultimi libri di Bourget, di Loti e di France, più le due o tre canzonette di moda in questo momento nei caffè-concerto. Per quanto concerne la politica, si dice che l’applicazione della legge sulle Congregazioni1 incontrerà serie difficoltà. Niente di realmente nuovo a teatro. Ho fatto un abbonamento estivo all’Illustration. Se vi dice qualche cosa...

1.         II ministro Combes aveva fatto approvare (1903-1904) una serie di leggi per abolire le Congregazioni religiose, anche quelle autorizzate, e per impedire che esse esercitassero l’insegnamento.

In campagna, non si sa che cosa fare. Sempre lo stesso assortimento di idioti in attesa per il tennis. Non avrò merito a scrivervi spesso. Risparmiatemi i vostri commenti a proposito del giovane Combemale. Non sono assolutamente femminista, avendo abbastanza fiducia in coloro che mi dicono graziosa, e in voi specialmente. Ma a ogni buon conto, mi fa rabbia l’idea che se mi permettessi nei confronti di uno solo dei garzoni di fattoria il quarto delle libertà che vi pigliate con le vostre Ouled-Naïls... Lasciamo stare. Ci sono delle fantasticherie troppo sconvenienti.

Ero arrivato a quel punto nel leggere la prosa della giovinetta emancipata, quando un’esclamazione scandalizzata del maresciallo d’alloggio mi fece alzare il capo.

“Signor tenente!”

“Che cosa c’è?”

“Ebbene! ne fanno delle belle al ministero. Leggete dunque”.

Mi porse l’Officiel. Lessi:

Con decisione in data 1 maggio 1903, il capitano de Saint-Avit (André), in aspettativa, è assegnato al 3° spahi, e nominato al presidio di Hassi-Inifel.

Il cattivo umore di Châtelain diventava sempre più manifesto:

“Il capitano de Saint-Avit, comandante del presidio! Un presidio sul quale non c’è mai stato niente da dire! Ci prendono dunque per un immondezzaio?”

La mia sorpresa era pari a quella del sottufficiale. Contemporaneamente vidi la brutta faccia da faina di Gourrut, il joyeux2 che impiegavamo come scrivano; aveva smesso d’imbrattare i fogli e ascoltava con interesse appena dissimulato.

2.         Joyeux (1855) soprannome dato ai soldati delle Compagnie di disciplina stanziate in Africa. Anche soldato di battaglione di fanteria leggera in Africa.

“Maresciallo, il capitano de Saint-Avit è stato promosso ufficiale con me” — dissi seccamente.

Châtelain salutò, uscì; io lo seguii.

“Su, vecchio mio, — gli dissi battendogli sulla spalla — non fate il broncio. Ricordatevi che tra un’ora partiamo per l’oasi. Preparate le munizioni. Bisogna assolutamente migliorare il vitto”.

Rientrato in ufficio, congedai con un gesto Gourrut. Rimasto solo, terminai rapidamente la lettera di Mademoiselle de C..., poi presi nuovamente l’Officiel e rilessi la decisione ministeriale che assegnava un nuovo comandante al presidio.

Erano cinque mesi che ne facevo le funzioni, e in fede mia me la cavavo piuttosto bene, anche perché gradivo molto l’indipendenza di cui godevo. Posso anche affermare, senza lusingarmi troppo che, sotto la mia direzione il servizio era stato espletato ben diversamente che sotto il capitano Dieulivol, il predecessore di Saint-Avit. Brav’uomo davvero, il capitano Dieulivol, coloniale della vecchia guardia, sottufficiale all’epoca di Dodds e di Duchesne, affetto da una temibile propensione per i liquori forti, e troppo incline, quando aveva bevuto, a confondere tutti i dialetti e a sottoporre un Haussa ad un interrogatorio in sakalave. Nessuno fu più parsimonioso di lui con le riserve d’acqua del presidio. Una mattina, mentre preparava il suo assenzio, in compagnia del maresciallo Châtelain, quest’ultimo, che teneva gli occhi fissi sul bicchiere del capitano, vide con stupore il verde liquore diventare bianco per una dose d’acqua più abbondante del solito. Alzò il capo, intuendo che qualche cosa di anormale era appena accaduto. Il capitano Dieulivol, rigido, con la caraffa inclinata nella mano, fissava l’acqua che gocciolava sullo zucchero. Era morto.

Per cinque mesi, dopo la scomparsa di quel simpatico ubriacone, era parso che in alto luogo non si curassero della sua sostituzione. Per un momento, avevo perfino sperato che si prendesse la decisione di assegnarmi di diritto le mansioni che già esercitavo di fatto... E ora, quella nomina improvvisa...

Il capitano de Saint-Avit... A Saint-Cyr eravamo coscritti. L’avevo perduto di vista. Poi la mia attenzione era stata richiamata su di lui dal rapido avanzamento, dalla decorazione, ricompensa meritata per tre viaggi di esplorazione particolarmente audaci, nel Tibesti e nell’Aire e a un tratto, il dramma misterioso del suo quarto viaggio, la famosa missione compiuta con il capitano Morhange, e dalla quale uno solo degli esploratori era tornato. In Francia, tutto si dimentica in fretta. Ed erano già passati ben sei anni da tali avvenimenti. Non avevo più sentito parlare di Saint-Avit. Credevo perfino che avesse lasciato l’esercito. Ed ecco che ora mi trovavo ad averlo come comandante.

‘Insomma – pensai – quello o un altro!... Alla Scuola Militare era simpatico, e siamo sempre stati in buoni rapporti. Del resto, non ho gli anni di servizio prescritti per diventare capitano’.

E uscii dall’ufficio fischiettando.

Eravamo in quel momento, Châtelain e io, con i fucili posati sul terreno già meno caldo, presso la pozza fangosa posta al centro della sparuta oasi, nascosti dietro una specie di graticcio di alfa. Il sole al tramonto tingeva con un riflesso rosato i piccoli canali stagnanti, dove vengono irrigate le magre colture dai negri non nomadi e dediti all’agricoltura .

Neanche una parola per tutto il cammino. Neanche una parola durante l’appostamento. Era evidente che Châtelain faceva il broncio.

Abbattemmo in silenzio, prima l’uno poi l’altro, alcune delle misere tortore che venivano, con le ali appesantite dal calore del giorno, a placare la sete nell’acqua verde e melmosa. Quando una mezza dozzina di piccoli corpi insanguinati furono allineati ai nostri piedi, misi la mano sulla spalla del sottufficiale.

“Châtelain!”

Egli trasalì.

“Châtelain, vi ho maltrattato poco fa. Non bisogna volermene”. Era l’ora ingrata prima della siesta. L’ora ingrata del mezzogiorno.

“Il signor tenente è padrone” — rispose con un tono che voleva essere burbero e che era soltanto commosso.

“Châtelain, non dovete volermene... Voi avete qualche cosa da dirmi. Sapete di che cosa intendo parlare”.

“Veramente non capisco. No, non capisco”.

“Châtelain, Châtelain, siamo seri. Parlatemi un po’ del capitano de Saint-Avit”.

“Non ne so nulla” — rispose con rudezza.

“Nulla? E quelle parole di poco fa?...”

“Il capitano de Saint-Avit è un coraggioso — mormorò, con la fronte ostinatamente abbassata. — Si è avventurato tutto solo fino a Bilma, nell’Aïr, tutto solo, in luoghi dove nessuno era mai stato. È un coraggioso”.

“È un coraggioso, certamente — dissi con tono di dolce pacatezza. — Tuttavia ha assassinato il suo compagno, il capitano Morhange, non è forse vero?”

Il vecchio maresciallo tremò.

“È un coraggioso” – si ostinò a ripetere.

“Châtelain, siete un bambino. Avete forse paura che riferisca le vostre parole al nuovo comandante?”

Avevo toccato il punto giusto. Sussultò.

“Il maresciallo Châtelain non ha paura di nessuno, signor tenente. Sono stato ad Abomey, contro le Amazzoni3, in un paese dove da ogni cespuglio, sbucava un braccio nero ad afferrarvi la gamba, mentre un altro, con un colpo di coltellaccio, ve la troncava violentemente”.

3.         Amazzoni: tra i vari regni indigeni, sorti a partire dalla metà del Settecento e sopravvissuti per un secolo sino alla conquista bianca, ebbe particolare importanza quello del Abomey, famoso nell’iconografia pittoresca del tempo per la guardia reale del corpo, costituta da circa seicento donne-guerriere, immediatamente ribattezzate dagli Europei con il nome di Amazzoni.

“Allora, quello che si dice, quello che anche voi..”

“Allora, sono tutte chiacchiere”.

“Chiacchiere, Châtelain, che vengono ripetute in Francia e dappertutto”.

Abbassò ancor di più la fronte, senza rispondere.

“Razza di mulo – scattai — deciditi a parlare!”

“Signor tenente, signor tenente — disse con voce supplichevole – vi giuro che quello che so è ben poca cosa...”

“Quello che sai, me lo dovrai dire, e subito. Altrimenti, ti prometto che per un mese non ti rivolgerò più la parola se non per ragioni di servizio”.

Hassi-Inifel: trenta goumier indigeni. Quattro europei, io il maresciallo, un sergente e Gourrut. La minaccia era terribile. Sortì il suo effetto.

“Orbene, ecco! signor tenente – disse con un gran sospiro. – Dopo, però, non mi rimprovererete per avervi riferito sul conto di un comandante cose che non vanno dette, soprattutto quando si basano sui pettegolezzi di mensa”.

“Parla”.

Lettera preliminare

Hassi-Inifel, 8 novembre 1903

[Questa lettera e il manoscritto che accompagna, quest’ultimo in busta speciale sigillata, furono affidati al maresciallo d’alloggio Châtelain del 3° spahis dal tenente Ferrières il 10 novembre 1903, giorno della partenza di quest'ufficiale per l’altopiano del Tassili dei Tuareg Azdjer (Sahara centrale). Il maresciallo aveva ordine di consegnare il plico, quando avesse avuto la sua prima licenza, al signor Leroux, consigliere onorario della Corte d’Appello di Riom, il parente più prossimo del tenente Ferrières. Poiché questo magistrato morì improvvisamente prima che scadesse il termine di dieci anni fissato per la pubblicazione del presente manoscritto, ne risultarono alcune difficoltà che ne hanno ritardato fino ad oggi la pubblicazione.]

Se le pagine che seguono vedranno un giorno la luce, significherà che a me è stata tolta. Il termine che fisso alla loro pubblicazione rappresenta per me una garanzia abbastanza sicura.

Per quanto riguarda le ragioni di questa storia vorrei che non mi si fraintendesse né sul perché l’ho scritta, né tanto meno sui limiti che pongo alla sua pubblicazione. Potete credermi se affermo che in queste righe febbrili non c’è traccia di ambizioni letterarie. Sono già lontano da tutte queste cose! Ma, in verità, sarebbe inutile che altri intraprendessero la strada dalla quale io non sarò ritornato.

Le quattro del mattino. Presto l’aurora tingerà di rosa la hamada. Intorno a me il bordj è addormentato. Dalla porta semichiusa della sua camera, sento il respiro calmo, tanto calmo di André de Saint-Avit.

Partiremo tra due giorni. Lasceremo il bordj. Ci inoltreremo verso il Sud. Ieri mattina è arrivato l’ordine dal ministero.

Ora, anche se ne avessi voglia, sarebbe troppo tardi per tirarmi indietro. André e io abbiamo sollecitato questa missione. L’autorizzazione che ho chiesto, d’accordo con lui, adesso è diventata un ordine. La via gerarchica percorsa, le influenze mobilitate al ministero, tutto questo per avere poi paura, per titubare davanti all’impresa!...

Aver paura, ho detto. So di non averne. Una notte, nel Gourara, quando ho trovato due mie sentinelle massacrate, con l’ignobile incisione a croce dei Berabers sul ventre, ho avuto paura. Così  adesso, quando fisso l’immensità tenebrosa da cui sorgerà improvvisamente l’enorme sole rosso, so che non tremo di paura, ma perché sento lottare dentro di me il sacro timore e l’attrazione del mistero.

Fantasticherie, forse. Immaginazioni di una mente turbata e di un occhio sconvolto dai miraggi. Verrà sicuramente un giorno in cui rileggerò queste pagine con un sorriso di pietà infastidita, il sorriso di un uomo di cinquant’anni che rilegge vecchie lettere.

Fantasticherie. Immaginazioni. Ma queste fantasticherie, queste immaginazioni mi sono care. «Il capitano di Saint-Avit e il luogotenente Ferrières» dice il dispaccio ministeriale «studieranno, nel Tassili, i rapporti stratigrafici di grès, albiti e calcari carboniferi... Ne approfitteranno anche, eventualmente, per informarsi sulle modificazioni dell’atteggiamento degli Azdjer di fronte alla nostra influenza, eccetera...» Certo che se questo viaggio, alla fine, dovesse portare solo a così poche cose, sento che non partirei.

Mi auguro dunque quello che temo. Sarò deluso se non mi troverò di fronte a quello che mi fa stranamente fremere.

In fondo alla valle dell’Uadi Mia, uno sciacallo ulula. A intervalli, una tortora tuba fra i palmeti, quando un raggio di luna, squarciando d’argento le nuvole gonfie di caldo, le fa credere che il sole stia nascendo.

Un passo all’esterno. Mi affaccio alla finestra. Un’ombra vestita di stoffe nere e lucenti scivola sull’argilla della terrazza del forte. Un bagliore nella notte carica di elettricità. L’uomo ha appena acceso una sigaretta. Si è accovacciato rivolto a mezzogiorno. Fuma.

È Cegheïr-ben-Cheïkh, la nostra guida targui, colui che fra tre giorni ci porterà verso gli altipiani sconosciuti del misterioso Imoschaoch, attraverso le hamada di pietre nere, i grandi uadi disseccati, le saline d’argento, i selvaggi gour, le dune d’oro opaco, sormontate, quando soffiano gli alisei, da un tremulo pennacchio di pallida sabbia.

Cegheïr-ben-Cheïkh! È proprio lui. Mi torna in mente la tragica frase di Duveyrier: «Il colonnello mette il piede nella staffa e nello stesso momento riceve una sciabolata...» (*) Cegheïr-ben-Cheïkh!... È là. Fuma tranquillamente una sigaretta del pacchetto che gli ho dato io... Mio Dio, perdonami questa mia  debolezza.

(*) H. Duveyrier, Désastre de la mission Flatters, Bull. Soc. gèo., 1881.

Il fotoforo proietta la sua luce gialla sulla carta. Strano destino quello che ha deciso un giorno, a sedici anni, senza che io sapessi veramente il perché, che sarei entrato a Saint-Cyr, facendomi diventare così il compagno di studi di André de Saint-Avit. Avrei potuto studiare diritto o medicina. Sarei oggi un uomo tranquillo in una città con tanto di chiesa e acqua corrente; e non questo fantasma vestito di cotone, ansiosamente rivolto verso il deserto che sta per inghiottirlo...

Un grosso insetto è entrato dalla finestra. Ronza, rimbalza dai muri intonacati al globo del fotoforo e infine, vinto, le ali bruciate dalla fiamma ancora alta, si abbatte sul foglio bianco.

È un calabrone d’Africa, enorme, nero, con macchie di un grigio livido.

Penso agli altri, ai suoi fratelli di Francia, ai calabroni bruno-dorati che, nelle sere tempestose d’estate, vedevo lanciarsi come palline dalla terra della mia campagna natale. Bambino, passavo là le mie vacanze, più tardi, le mie licenze.

Durante l’ultima, su quello stesso prato vicino a me, passeggiava una sottile figura bianca con una sciarpa di mussola, perché l’aria della sera è molto fresca laggiù.

Ora è già molto se, sfiorato da questo ricordo, lascio per un secondo che il mio sguardo si alzi verso un angolo scuro della camera, sul muro nudo su cui luccica il vetro di un ritratto ormai sbiadito. Capisco come ciò che mi sembrava potesse essere tutta la mia vita abbia perso d’importanza. Ormai quel mistero doloroso non ha più alcun interesse per me. Se i cantori ambulanti di Rolla venissero sotto questa finestra di bordj a sussurrare le loro famose arie nostalgiche, so che non li ascolterei e se diventassero troppo insistenti, direi loro di andarsene.

Che cosa è bastato a produrre questa metamorfosi? Una storia, un racconto forse, narrato comunque da qualcuno su cui pesa il più mostruoso dei sospetti.

Cegheïr-ben-Cheïkh ha finito la sua sigaretta. Sento che raggiunge a passi lenti la sua stuoia, nell’edificio B, vicino al posto di guardia a sinistra.

Poiché la nostra partenza deve aver luogo il 10 novembre, il manoscritto unito a questa lettera è stato cominciato domenica 1° e terminato giovedì 5 novembre 1903.

Olivier Ferrières

Tenente del 3° spahis

 

Capitolo primo

Una postazione meridionale

Il sabato 6 giugno 1903, la vita monotona che si conduceva nel forte di Hassi-Inifel fu interrotta da due avvenimenti di importanza diversa: l’arrivo di una lettera della signorina Cécile de C... e dei numeri più recenti del ‘Journal Officiel’ della Repubblica francese.

«Se il signor tenente permette...» disse il maresciallo d’alloggio Châtelain, mettendosi a sfogliare i giornali ai quali aveva tolto le fascette.

Acconsentii con un cenno della testa, già completamente immerso nella lettura della lettera appena arrivata.

«Quando riceverete questa mia» scriveva l’amabile fanciulla «la mamma e io avremo già lasciato Parigi per la campagna. Se, nel vostro bled, l’idea che mi annoi quanto voi vi consola, potete essere felice.

Si è corso il Gran Premio. Ho puntato sul cavallo che mi avevate indicato e, naturalmente, ho perso. L’antivigilia abbiamo cenato dai Martial de la Touche. C’era Elias Chatrian, sempre sorprendentemente giovane. Vi spedisco il suo ultimo libro che fa molto parlare. Pare che i Martial de la Touche vi siano descritti così come sono. Aggiungo anche gli ultimi libri di Bourget, di Loti e di France e le due o tre canzonette di moda nei caffè-concerto. In politica, si dice che l’applicazione delle leggi sulle congregazioni incontrerà notevoli difficoltà. A teatro, niente di veramente nuovo. Ho fatto un abbonamento estivo all’‘Illustration’. Se questo può rivelarvi qualcosa...

In campagna, non si sa che cosa fare. Sempre lo stesso gruppo di imbecilli in attesa del tennis. Non avrei nessun merito a scrivervi sovente. Risparmiatemi le vostre riflessioni a proposito del piccolo Combemale. Non sono affatto femminista, anche perché mi fido abbastanza di coloro che mi trovano graziosa e di voi soprattutto. Ma mi fa rabbia l’idea che se mi permettessi con uno solo dei nostri garzoni di fattoria un decimo della confidenza che voi sicuramente avete con tutte le vostre Ouled-Naïls... Lasciamo perdere. Sono pensieri troppo sgradevoli.»

Ero a questo punto della lettera della giovane fanciulla emancipata, quando un’indignata esclamazione del maresciallo mi fece alzare la testa.

«Signor tenente!»

«Che cosa c’è?»

«Ne succedono delle belle al ministero: leggete qui.»

Mi tese l’‘Officiel’ e lessi:

“Con decorrenza 1° maggio 1903, il capitano di Saint-Avit (André), fuori quadro, è destinato al 3° spahis e nominato comandante del forte di Hassi-Inifel”.

Il cattivo umore di Châtelain aumentava sempre più.

«Il capitano di Saint-Avit comandante del forte! Un posto sul quale non c’era mai stato niente da ridire! Ma per chi ci prendono?»

La mia sorpresa era uguale a quella del sottufficiale, ma vidi anche la brutta faccia da faina di Gourrut, il joyeux, che usavamo come scrivano: aveva smesso di scrivere e ascoltava con subdolo interesse.

«Maresciallo, il capitano di Saint-Avit è stato promosso con me» dissi seccamente.

Châtelain si inchinò e uscì; lo seguii.

«Su, vecchio mio» gli dissi battendogli sulle spalle «non fate il broncio. Ricordatevi che tra un’ora partiremo per l’oasi. Preparate le cartucce. Bisogna migliorare seriamente il rancio.»

Rientrato in ufficio, congedai con un gesto Gourrut. Rimasto solo, terminai rapidamente la lettera della signorina de C..., poi ripresi l’‘Officiel’ e rilessi la decisione ministeriale che dava al nostro forte un nuovo comandante.

Da cinque mesi ne facevo le funzioni ed effettivamente sopportavo bene questa responsabilità, poiché apprezzavo molto l’indipendenza. Posso persino affermare, non per vantarmi, che sotto la mia guida il servizio aveva funzionato ben diversamente che con il capitano Dieulivol, predecessore di Saint-Avit. Brav’uomo, questo capitano Dieulivol, coloniale della vecchia guardia, sottufficiale dei Dodds e dei Duchesne, ma affetto da una terribile propensione per i liquori forti e troppo incline, quando aveva bevuto, a confondere tutti i dialetti e a far subire a un Haussa un interrogatorio in sakalave. Mai nessuno risparmiò più di lui le riserve d’acqua del forte.

Un mattino, però, mentre stava preparando il suo assenzio in compagnia del maresciallo Châtelain, quest’ultimo, gli occhi fissi sul bicchiere del capitano, vide con stupore il liquore verde diventare troppo bianco per una dose d’acqua più abbondante del solito. Alzò la testa, intuendo che qualche cosa di anormale doveva essere accaduto. Irrigidito, con la caraffa inclinata, il capitano Dieulivol fissava l’acqua che gocciolava sullo zucchero. Era morto.

Per cinque mesi, dopo la scomparsa di quel simpatico ubriacone, sembrò che in alto loco si fossero dimenticati della sua sostituzione. Per un momento avevo persino sperato che si prendesse la decisione di investirmi di diritto delle funzioni che esercitavo di fatto... E adesso, questa improvvisa nomina...

Il capitano di Saint-Avit... Alla scuola di Saint-Cyr era di leva con me, poi l’avevo perso di vista. In seguito ero rimasto colpito dal suo rapido avanzamento di grado e dalla decorazione, ricompensa meritata per tre viaggi d'esplorazione, particolarmente audaci, nel Tibesti e nell’Aïr; e improvvisamente il dramma misterioso del suo quarto viaggio, la famosa missione intrapresa con il capitano Morhange, e dalla quale uno solo era ritornato. In Francia si dimentica tutto in fretta. Erano passati sei anni da quell’episodio. Non avevo più sentito parlare di Saint-Avit. Credevo persino che avesse lasciato l'esercito. E ora me lo ritrovavo come mio comandante.

«Su» pensai «lui o un altro!... Alla scuola militare era affascinante e abbiamo sempre avuto ottimi rapporti. Del resto, non ho nemmeno l’anzianità necessaria per essere capitano.»

E uscii dall’ufficio fischiettando.

Il maresciallo Châtelain e io ci trovavamo ora vicino allo stagno, nel mezzo della magra oasi, con i fucili appoggiati alla terra già meno calda, nascosti da un cespuglio di erba alta. Il sole, al tramonto, colorava di rosa i piccoli canali stagnanti che irrigano le povere colture degli indigeni..

Non una parola durante il tragitto, non una parola durante l’appostamento. Châtelain era visibilmente contrariato.

In silenzio, abbattemmo a turno alcune povere tortorelle che venivano a spegnere la loro sete nella pesante acqua verde, trascinando le piccole ali sotto il peso della calura del giorno.

Quando una mezza dozzina di piccoli corpi sanguinanti furono allineati ai nostri piedi, misi una mano sulla spalla del sottufficiale.

«Châtelain!»

Egli trasalì.

«Châtelain, vi ho maltrattato prima, ma non dovete prendervela. Era l’ora ingrata prima della siesta: l’ora ingrata del mezzogiorno.»

«Il signor tenente è il padrone» rispose con un tono che voleva essere burbero, ma che era solo commosso.

«Châtelain, non dovete volermene... Avete qualcosa da dirmi, sapete di che cosa sto parlando.»

«Non capisco, davvero non capisco.»

«Châtelain, Châtelain cerchiamo di essere seri. Parlatemi un po’ del capitano di Saint-Avit.»

«Non so nulla» disse bruscamente.

«Nulla? Allora, le vostre parole di prima?...»

«Il capitano di Saint-Avit è un valoroso» mormorò, tenendo gli occhi ostinatamente bassi. «È partito da solo per Bilba, per l’Aïr, solo in luoghi dove nessuno è mai andato. È un coraggioso.»

«Lo è senz’altro» dissi con infinita dolcezza. «Ma ha assassinato il suo compagno.»

Il vecchio maresciallo rimase turbato.

«È un coraggioso» si ostinò a ripetere.

«Châtelain siete proprio un bambino. Temete forse che vada a riferire le vostre parole al nuovo comandante?»

Avevo colto nel segno. Sussultò.

«Il maresciallo d’alloggio Châtelain non ha paura di nessuno, signor tenente. Ho combattuto ad Abomey contro le Amazzoni, in un paese dove da ogni cespuglio usciva un braccio nero che vi afferrava una gamba, mentre un altro, con un colpo di coltello, ve la tagliava di netto.»

«Allora, quello che si dice, quello che anche voi...»

«Sono solo storie.»

«Storie, Châtelain, che si raccontano in Francia e dappertutto.»

Abbassò ancora di più la testa senza rispondere.

«Sei ostinato come un mulo» esclamai. «Parla!»

«Signor tenente, signor tenente» supplicò «vi giuro che quello che so è ben poca cosa...»

Quello che sai, me lo devi dire e subito. Se no ti giuro che per un mese non ti rivolgerò più la parola se non per motivi di servizio.»

Hassi-Inifel: trenta goumiers indigeni; quattro europei: io, il maresciallo, un caporale e Gourrut. La minaccia era terribile e fece effetto.

«Va bene, signor tenente» disse infine con un profondo sospiro. «Però, poi, non rimproveratemi per avervi riferito su un comandante cose che non si dovrebbero dire, soprattutto quando si basano solo su chiacchiere di mensa.»

«Parla.»

Comprensione del testo
Rispondi alle seguenti domande SENZA consultare il testo
(Questa domanda è obbligatoria)
La storia si svolge in
(Questa domanda è obbligatoria)
Qual è la novità?
(Questa domanda è obbligatoria)
Come si chiama il nuovo capitano?
(Questa domanda è obbligatoria)
Di cosa vanno a caccia i due uomini?
(Questa domanda è obbligatoria)

Grazie mille per l'interesse dimostrato. Purtroppo il numero di risposte corrette alle domande di comprensione non è sufficiente per proseguire con il questionario.
 

Fine
Grazie mille per l'interesse dimostrato. Purtroppo il numero di risposte corrette alle domande di comprensione non è sufficiente per proseguire con il questionario. 
(Questa domanda è obbligatoria)
Grazie mille per l'interesse dimostrato. Purtroppo il numero di risposte corrette alle domande di comprensione non è sufficiente per proseguire con il questionario. 
Esperienza di lettura

Rispondi ora a queste domande SENZA consultare il testo.

Per ciascuna delle seguenti domande, segna la risposta che più si avvicina al testo che hai appena letto.
(Questa domanda è obbligatoria)
In alcuni momenti ho avuto difficoltà a capire cosa stesse accadendo nella storia
(Questa domanda è obbligatoria)
Non ho capito i personaggi
(Questa domanda è obbligatoria)
Ho fatto fatica a seguire il filo della storia
(Questa domanda è obbligatoria)
Ho avuto bisogno di concentrarmi durante la lettura
(Questa domanda è obbligatoria)
Mentre leggevo pensavo ad altro
(Questa domanda è obbligatoria)
Ho fatto fatica a mantenere la concentrazione durante la lettura
(Questa domanda è obbligatoria)
Mentre leggevo, il mio corpo era nella stanza ma la mia mente era nel mondo creato dalla storia
(Questa domanda è obbligatoria)
La storia ha creato un nuovo mondo e questo mondo è scomparso quando la storia è finita
(Questa domanda è obbligatoria)
A un certo punto, durante la lettura, ero più vicina/o alla situazione descritta nel racconto che alla realtà del qui e ora
(Questa domanda è obbligatoria)
Durante la narrazione, quando un personaggio principale soffriva, mi sentivo triste
(Questa domanda è obbligatoria)
La storia mi ha toccata/o emotivamente
(Questa domanda è obbligatoria)
Mi è dispiaciuto per alcuni personaggi della storia
(Questa domanda è obbligatoria)
Mentre leggevo la storia, avevo in testa l’immagine dei personaggi principali
(Questa domanda è obbligatoria)
Mentre leggevo la storia, mi sembrava di vedere rappresentate davanti a me le situazioni che si stavano svolgendo
(Questa domanda è obbligatoria)
Riuscivo a immaginare il mondo in cui si svolgeva la storia
(Questa domanda è obbligatoria)
È stato facile comprendere il testo
(Questa domanda è obbligatoria)
Ho pensato che il testo fosse ben scritto
(Questa domanda è obbligatoria)
Ho incontrato parole, frasi o paragrafi difficili da capire
Puoi farmi alcuni esempi? (puoi consultare il testo per rispondere)
(Questa domanda è obbligatoria)
Ho trovato parole, frasi o paragrafi che mi sono piaciuti particolarmente
Puoi farmi alcuni esempi? (puoi consultare il testo per rispondere)
(Questa domanda è obbligatoria)
Ero consapevole di star leggendo una traduzione
Se hai capito che si trattava di una traduzione, mi puoi spiegare come?
(Questa domanda è obbligatoria)
Era una buona traduzione
(Questa domanda è obbligatoria)
Mi piacerebbe leggere un altro testo dello stesso autore tradotto dallo stesso traduttore
(Questa domanda è obbligatoria)
Mi piacerebbe leggere un altro testo dello stesso autore ma tradotto da qualcun altro
(Questa domanda è obbligatoria)

Mi piacerebbe leggere un testo di un altro autore ma tradotto dallo stesso traduttore

(Questa domanda è obbligatoria)
Mi è piaciuto leggere questo testo
(Questa domanda è obbligatoria)
Consiglieresti questo testo a qualcuno?